Io, lui e
l’altro…
“Il triangolo no!...Non lo voglio
considerare!...” ci suggerisce subito l’istinto
primordiale, quello della nostra origine, dove il mio io non deve mai essere
messo a repentaglio nei confronti del prossimo e di quell’altro che può essere
uno in più, o più persone, o il mondo stesso nelle molteplici situazioni da
affrontare. Meglio stare chiusi e comodi nel proprio io, nella propria casa,
nel guscio comodo del mio cuscino sicuro...
Ma poi mi devo ricredere e subito mi accorgo che questa è solo illusione
e non mi dà né sicurezza né serenità. Per il mio cammino di vita devo provare,
almeno un poco, ad affidarmi all’esperienza del confronto, del dialogo,
dell’incontro, se voglio che la mia vita abbia senso, valore e equilibrio. Per
forza o per amore, devo provare a fare come una quarantena, un periodo di
esercizio morale, spirituale, umano, sociale, che se mi provoca fatica al
momento perché vedo solo grigio e sacrificio, è la scommessa che devo
affrontare per ottenere in premio la migliorìa di me stesso, dell’altro e del
mondo attorno a me. Non c’è niente da
fare: da solo posso anche stare, ma non potrò mai esserlo in verità: anche i
migliori eremiti non hanno mai smentito la mente universale, anzi hanno
esaltato il loro cuore come condivisione, hanno vissuto il loro spirito nel
vaglio con il mondo intero, quello dentro e quello attorno. Il prossimo che mi si presenta nella vita
potrei giocarlo come una carta a mio favore, se non intervenisse anche l’altro,
il terzo, quello che garantisce la verità, la realtà, il sigillo. Confessarmi
tra me e il mio dio è solo illusione e piacere se non c’è l’intervento dell’altro,
il terzo che mi posta il senso della realtà, il valore della mia intenzione,
che attesta che la tappa della quarantena non è solo quaresima sacrificale, ma
anche esodo gioioso, liberante il mio io prigioniero del piacere, del potere e
delle grandezze, rendendomi più capace di incontrare il prossimo e il mondo. “Non c’è due senza tre”!, così è fatto il
procedere del mondo. Fare l’elemosina a chi mi è vicino è facile e
gratificante; ma è valido solo nel condividere con un altro il mio atto, con
quel terzo incomodo che mi indica che “altro” non è solo colui che è vicino a
me, ma anche chiunque si avvicina me, anche da lontano. Pregare in due crea
unità, ma guarda caso pure il vangelo aggiunge il terzo altro: “…dove sono due o
tre riuniti”, per dirmi che se voglio crescere nell’unità devo aumentare il
mio senso di comunità, di famigliarità, di diversità arricchente, affidandomi
all’altro, chiunque o qualunque cosa sia. Il cammino che ci proponiamo noi tre
: Me, Lu e Chel’oter, per migliorare noi stessi e il mondo, potrebbe essere
ridetto così: esco da me stesso con l’aiuto di te che mi sei vicino per
accogliere altri o altro che si avvicinano a noi, per condividere insieme le
gioie e i dolori, le fatiche e le speranze di ognuno. Progredendo così dal
senso di unità al consenso perché ci sia sempre più comunità, e sia sempre più serena
e vivibile questa nostra fragile e preziosa umanità.